20 Marzo 2012
Impianti a biomasse: la posizione di Coldiretti

La produzione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche rappresenta un’opportunità di integrazione del reddito per l’imprenditore agricolo: questa attività rientra nella natura multifunzionale dell’impresa agricola che Coldiretti ha sempre sostenuto e promosso. Tuttavia, questa funzione produttiva deve rispettare alcuni criteri, proprio perché integrativa a quella che è e deve rimanere la vocazione primaria e principale dell’impresa agricola: la produzione di alimenti accompagnata dalla valorizzazione della loro qualità, dalla sicurezza alimentare, dalla sostenibilità dell’ambiente e dalla tutela del territorio. Vanno promossi, pertanto, quegli investimenti agro energetici realizzati da imprenditori agricoli singoli o associati che, nel caso di impianti a biomasse, sappiano valorizzare sottoprodotti aziendali (deiezioni zootecniche, scarti vegetali, ecc…) che, altrimenti, non avrebbero un loro utilizzo economico. Se a questa integrazione al reddito si accompagna una soluzione ad alcuni problemi ambientali, quali ad esempio l’applicazione della Direttiva Nitrati, a maggiore ragione vanno promossi questi investimenti energetici. Tuttavia, in questi ultimi tempi si assiste, da parte di soggetti che nulla hanno a che fare con il comparto agricolo, a proposte di realizzazione di impianti di grande taglia, in termini di potenza, in aree agricole, ricorrendo all’utilizzo di grandi quantitativi di biomassa e, spesso, senza alcuna ricaduta positiva per le aziende agricole. Queste proposte non rispondono a quanto definito in premessa e, pertanto, Coldiretti non può che essere contraria. Vediamone i motivi. In primis, quasi tutte le proposte vedono la realizzazione in ambito di aree agricole da parte di soggetti che non nascono come agricoltori. La legge urbanistica veneta, infatti, permette la costruzione di impianti in aree agricole anche a quei soggetti che figurano come semplici imprenditori agricoli ai sensi dell’art. 2135 del Codice Civile, in deroga ai requisiti obbligatori di iscrizione alla previdenza agricola ed al raggiungimento di un livello minimo di reddito. Infatti, se un imprenditore agricolo professionale non ottempera a questi requisiti, non può procedere, ad esempio, a costruire una stalla, una cantina, ecc…; pertanto, questa deroga è causa di discriminazione nei confronti di chi, effettivamente, vive di agricoltura, rispetto a chi si improvvisa agricoltore per sviluppare impianti energetici solo a scopi speculativi e beneficiando degli stessi incentivi economici e delle stesse agevolazioni fiscali dei veri imprenditori agricoli. Su questo specifico aspetto, Coldiretti Veneto ha fatto ricorso al Tribunale amministrativo regionale contro la Regione Veneto. Senza entrare nell’ aspetto etico del conflitto food o no food, che rimane di fondamentale importanza, ma di cui in questo articolo non si entra nel merito, gli impianti energetici di grossa taglia, alimentati in prevalenza a biomassa vegetale, sono causa poi di altri fattori che indirettamente possono comportare disagi alle aziende agricole del territorio ove vengono realizzati:
1) aumento costo di approvvigionamento della biomassa: è conosciuto che la biomassa vegetale (in particolare il silo mais) aumenta la resa energetica dell’impianto. Ecco perché spesso questi impianti sono progettati per l’utilizzo di biomasse. Per un impianto di 1 Mw mediamente servono 300 ettari di silo mais. Chi gestisce questi impianti, grazie agli elevati incentivi può permettersi l’approvvigionamento di biomassa a prezzi duplicati o triplicati rispetto ai normali prezzi di mercato. Cosa che non può permettersi il conduttore di un allevamento zootecnico che, a causa dell’aumento dei costi degli alimenti, rischia di chiudere l’attività. Un danno economico per l’azienda agricola, ma anche per l’equilibrio socio economico del territorio in cui si trova;
2) aumento dei costi dei canoni di affitto dei terreni: in provincia di Cremona, ove negli ultimi anni c’è stato un grosso impulso allo sviluppo di impianti a biomasse, si è verificato un aumento dei canoni d’affitto dei terreni fino al 300%;
3) consumo del suolo agricolo. Ci si domanda: chi tutela e gestisce il territorio una volta dismesso l’impianto ed in assenza di aziende agricole, chiuse a causa dei due punti precedentemente descritti?
4) Direttiva Nitrati. Si sa che l’impianto a biomasse o biogas tout court non risolve il problema dello smaltimento dei reflui zootecnici, a meno che a valle dell’impianto non vengano realizzati investimenti atti a ridurre il quantitativo d’azoto. Questi investimenti, tuttavia, sono un puro costo per gli investitori che, quindi, spesso non li prendono in considerazione lasciando irrisolto il problema della gestione del digestato. A fronte di queste speculazioni e delle problematiche che ne derivano, Coldiretti ha fatto opportune proposte legislative che prevedono limiti diversi di potenza degli impianti in aree agricole ed incentivi differenziati a seconda della quantità di biomassa vegetale usata. Le bozze dei decreti attuativi per gli incentivi 2013 sembrano andare proprio in questa direzione.

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