14 Aprile 2014
Niente Ogm sulle nostre tavole

L’idea di una città Ogm free va accolta, ma occorre pensare oltre il campanile e su una scala proiettata ai mercati globali per reggere la concorrenza. Il principio di precauzione deve prevalere su qualsiasi altra considerazione. Si riapre, anche nel Vicentino, il dibattito relativo agli Organismi geneticamente modificati. E Coldiretti, che ha sempre seguito una linea coerente e contraria alla diffusione del “non cibo”, intende portare avanti convintamente le proprie idee sostenendo, inoltre, che attraverso la biodiversità è possibile tutelare le eccellenze del territorio e l’economia locale, ma non solo. Una recente indagine Coldiretti-Swg ha dimostrato che quasi sette consumatori su dieci considerano i prodotti Ogm meno salutari di quelli tradizionali. Nonostante il rincorrersi di notizie miracolistiche sugli effetti benefici delle nuove modificazioni effettuate su animali e vegetali il livello di scetticismo rimane elevato. La realtà è che gli Ogm attualmente in commercio riguardano pochissimi prodotti e sono diffusi nell'interesse di poche multinazionali, senza benefici riscontrabili dai cittadini. I numeri parlano chiaro: sono coltivati con Ogm appena 114.290 ettari di terreno, pari a molto meno dello 0,001 per cento della superficie agricola totale europea che è di 160 milioni di ettari, secondo un’analisi di Coldiretti sulla base dei dati dell'International service for the acquisition of agri-biotech applications. Ed in Europa i Paesi coltivatori di Ogm sono solo cinque: Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania. La posizione di Coldiretti è condivisa e ribadita anche dal ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, che nei giorni scorsi ha testualmente affermato: “dobbiamo contrastare gli Ogm e pensare ad un marchio Italia sui prodotti Dop, per rafforzare un settore di eccellenza che entro il 2020 potrebbe far crescere il Pil di più di 6 miliardi. Nel settore alimentare abbiamo una tradizione di qualità unica in Europa e su questo punto di forza possiamo costruire una crescita rilevante del comparto. Sono maturi i tempi perché l'Italia sperimenti un marchio unico agroalimentare per le sue Dop. È un'iniziativa che ci permetterebbe un salto importante: i singoli prodotti rischiano di non reggere la competizione globale, in un gioco di squadra tutto diventa più facile”. Ad allarmare sono anche i dati di un recente sondaggio della Fao, da cui emerge che 30 Paesi producono colture geneticamente modificate per ricerca, per la produzione commerciale, o per entrambe, e si stanno sviluppando sempre più colture geneticamente modificate; 17 Paesi non hanno nessuna normativa sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi provenienti da coltivazioni Ogm; 55 Paesi hanno una politica di tolleranza zero per le colture geneticamente modificate non autorizzate; 38 Paesi considerano le diverse politiche sugli Ogm che esistono tra i partner commerciali un fattore importante nel contribuire al rischio commerciale rappresentato dalla presenza di bassi livelli di colture geneticamente modificate in alcuni alimenti. Favorire la diffusione degli Ogm significa non volere il bene delle nostre aziende, nonché dell’economia locale e diffusa. Un tale atteggiamento rischia di innescare un processo che potrebbe portare al dominio delle multinazionali biotecnologiche ed alla scomparsa del piccolo e medio produttore, che rappresenta una risorsa per l’equilibrio economico e la salvaguardia del territorio e dell’ambiente.

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