La crisi delle stalle in montagna è aumentata progressivamente negli ultimi anni, a seguito di una serie di fattori. Ed ai maggiori costi derivanti dallo svolgimento di un’attività indubbiamente difficile da praticare, per l’insidiosità del territorio, si aggiunge il pericolo rappresentato dalla comparsa degli orsi e di altri predatori. Lo scorso anno il plantigrado Genè, classificato con il codice M4, ha fatto svariate decine di vittime tra vacche, pecore ed asini e quest’anno, con l’apertura delle malghe e dell’alpeggio, arrivano già segnalazioni circa l’avvistamento di un nuovo orso. La situazione non può che preoccuparci, in quanto siamo ben consapevoli delle difficoltà riscontrate lo scorso anno e del fatto che potrebbero ripresentarsi, in quanto nessuna azione di prevenzione è ancora stata individuata per limitare il problema. Tutto ciò accade proprio nel momento in cui gli animali arrivano nelle malghe ed inizia la frequentazione per le gite fuori porta. Sono già molte le aziende che non caricheranno gli animali in malga, per evitare ulteriori perdite di capi, pur consapevoli di offrire in tal modo un prodotto di diversa qualità, ma di riuscire così a contenere le perdite derivanti dai maggiori costi. Qualora le malghe fossero costrette a chiudere, oltre all’incalcolabile danno prodotto all’ambiente, si aggiunge un danno economico importante sull’economia della montagna. Infatti, si calcola in circa 3/4 milioni di euro il mancato introito derivante dall’affitto ai Comuni, dalla mancata vendita dei formaggi e dalla perdita dell’attività agrituristica condotta da diverse malghe nel periodo estivo. Certo è, però, che in questa maniera, nei prossimi anni, se non si farà fronte alla presenza dei grandi predatori, la montagna verrà abbandonata e, con il venir meno della presenza delle aziende agricole, il territorio subirà un importante danno e non rappresenterà più un’attrazione valida anche per il turismo enogastronomico e sportivo. Ne consegue, quindi, un danno significativo per tutto l’indotto. I numeri che recentemente Coldiretti ha reso noti sono seri: dall’inizio della crisi hanno chiuso oltre diecimila stalle da latte, oltre il 60 per cento delle quali si trovava in montagna. Ed insieme alla perdita di posti di lavoro e di reddito viene anche a mancare il ruolo insostituibile di presidio del territorio, nel quale la manutenzione è assicurata proprio dal lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali. In Italia sono sopravvissute appena 35mila stalle, che hanno prodotto nel 2014 circa 110 milioni di quintali di latte, mentre sono circa 86 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente. Per ogni milione di quintali di latte importato in più scompaiono 17mila mucche e 1200 occupati in agricoltura, sebbene dall’inizio della crisi nel 2007 ad oggi le importazioni di prodotti lattiero-caseari dall’estero siano aumentate in valore del 20 per cento. Il risultato della concorrenza sleale dovuta alle importazioni di bassa qualità spacciate per italiane è il fatto che il latte viene pagato agli allevatori in media 0,36 centesimi al litro, con un calo di oltre il 20 per cento rispetto allo scorso anno, mentre al consumo il costo medio per il latte di alta qualità è di 1,5 euro al litro, di qualche centesimo superiore allo scorso anno. Ma, soprattutto, il prezzo riconosciuto agli allevatori non copre neppure i costi per l’alimentazione degli animali e sta portando alla chiusura di una media di quasi quattro stalle al giorno con effetti sull’occupazione, sull’economia,
sull’ambiente e sulla sicurezza alimentare dei consumatori. A rischio c’è un settore che rappresenta la voce più importante dell’agroalimentare italiano, con un valore di 28 miliardi di euro e quasi 180mila occupati nell’intera filiera. Nella forbice dei prezzi dalla stalla alla tavola c’è spazio da recuperare per consentire ai consumatori di acquistare un prodotto indispensabile per la salute e per dare agli allevatori italiani la possibilità di continuare a garantire una produzione di qualità con standard di sicurezza da record. A dimostrarlo ci sono i primi esempi significativi di gruppi lungimiranti della distribuzione e dell’industria che ci auguriamo possano essere seguiti da molti altri.
19 Giugno 2015
In montagna meno stalle e più insidie