28 Marzo 2013
Biogas: occhio alle proposte

Sino a fine 2012 si è assistito ad uno sviluppo sconsiderato di impianti a biogas, spesso di notevoli dimensioni (1 Mw) promossi e gestiti da soggetti non sempre provenienti dal mondo agricolo. Questo a causa dell’elevata tariffa incentivante (0,28 euro/kwh), indifferenziata rispetto al soggetto investitore (era sufficiente aprire una partita Iva in ambito agricolo), ma soprattutto indifferenziata rispetto alla taglia dell’impianto ed alle biomasse usate. Molte proposte di costruzione di impianti, tra le quali alcune realizzate, avevano come principio ispiratore la semplice speculazione economica, che è stata causa di problemi, anziché benefici per il settore agricolo. Basti pensare che per l’accaparramento dei terreni da destinare alla coltivazione di biomasse in certe aree del Nord Italia i canoni di affitto di fondi rustici sono aumentati del 300%: oppure i prezzi dell’insilato di mais, utilizzato per aumentare le rese energetiche dell’impianto, hanno subito aumenti sconsiderati, mettendo in seria difficoltà gli allevamenti zootecnici. Coldiretti è stata inequivocabilmente sempre contraria a queste speculazioni. La produzione di energia elettrica e termica da biomasse di origine agricola deve essere vista, infatti, come una possibilità di integrazione al reddito aziendale, sfruttando le potenzialità dell’azienda stessa: la produzione di energia non deve essere il fine dell’attività agricola, la cui funzione primaria è quella di produrre cibo. Inutile aggiungere come sia disdicevole l’utilizzo di produzioni agricole dedicate alla produzione di energia, sottraendole alla destinazione dell’alimentazione umana o animale. Coldiretti si è attivata per modificare il regime degli incentivi ed il nuovo decreto in vigore dal 2013 ha risposto, anche se in parte, alle richieste fatte. Le tariffe ora risultano differenziate a seconda della taglia di potenza dell’impianto ed a seconda della biomassa utilizzata: le più alte riguardano impianti di piccola taglia realizzate da aziende agricole che utilizzano scarti e sottoprodotti aziendali (tariffa 0,236 euro/kwh per impianti che utilizzano sottoprodotti e di potenza < 300 kw). Ora più grandi sono gli impianti e più utilizzano biomasse dedicate (silo mais), più bassi sono gli incentivi (per un impianto di 1 Mw che utilizza biomasse dedicate, l’incentivo è 0,14 euro/kwh). Questo spiega il motivo per cui ora si manifestano sul territorio diverse proposte commerciali per la realizzazione di piccoli impianti. Ma anche qui è necessario fare particolare attenzione. In primis, va tenuto presente che l’impianto va adattato alle esigenze dell’azienda agricola e non l’azienda che va adattata all’impianto da realizzare, altrimenti il fallimento dell’investimento diventa nel tempo cosa sicura. L’azienda deve fare una verifica delle quantità di biomasse che ha a disposizione, possibilmente senza ricorrere al mercato esterno, le cui fluttuazioni spesso disattendono i piani di rientro economico. Le biomasse devono provenire da sottoprodotti (liquami, letami, scarti di coltivazioni, ecc...), per non mettere in crisi l’assetto aziendale, specialmente in presenza di allevamenti. Si devono tenere in debita considerazione i costi di manutenzione, l’esigenza di manodopera, la resa energetica delle biomasse a disposizione (c’è liquame e liquame), i costi indotti, ecc… Inoltre, non tutte le tecnologie sono uguali e la scelta va ponderata a seconda della struttura aziendale. Importante, poi, è prevedere il recupero dell’energia termica sviluppata, che consente di rientrare nei costi anticipatamente. Infine, è bene ricordare che le tecnologie per la realizzazione dei piccoli impianti non è ancora diffusa e consolidata ed i costi risultano ancora elevati: l’opportunità di realizzare un impianto va valutata attentamente.

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