20 Dicembre 2012
Etichetta d’origine… arrivederci

È trascorso un anno e mezzo dall’approvazione della legge sull’etichettatura degli alimenti, ma non è ancora stato emanato un decreto applicativo. Sono evidenti le pressioni volte ad evitare che si faccia trasparenza, attraverso un’etichetta chiara ed in grado di fornire al consumatore tutte le informazioni necessarie per sapere cosa metterà in tavola. L’Europa ha approvato le iniziative del governo italiano, disponendo in materia di etichettatura per la carne suina e per il latte. L’ostacolo vero, con tutta probabilità, è in casa nostra, dove esistono forti lobby di chi non vuole l’etichetta trasparente, che da tanti anni Coldiretti va chiedendo, naturalmente a danno di produttori e consumatori, e riesce ad esercitare fortissime pressioni affossando le decisioni del Parlamento. Vale la pena ricordare, però, che questo gioco di potere costa al made in Italy ben 60 miliardi di euro l’anno, che vengono sottratti all’economia italiana. L’ultima novità è rappresentata dal fatto che la Commissione europea ha stracciato la proposta di regolamento per rendere obbligatorio il “made in…” sui prodotti importati, decretando la vittoria della Germania e delle lobby industriali. Il commissario europeo al Commercio, Karel de Gucht ha annunciato il ritiro della proposta di regolamento per l’impossibilità di raggiungere il necessario consenso fra gli Stati membri. Il rischio era quello di sventare definitivamente un gioco di triangolazione di prodotti e valute, che da anni frutta profitti a tre cifre percentuali. Il regolamento cassato, infatti, doveva riguardare solo i prodotti finiti. Sarebbero stati esclusi, quindi, materie prime (anche alimentari) e semilavorati che arrivano in quantità consistente da Cina, India e Vietnam e contribuiscono a confezionare alimenti, vestiti, scarpe ed accessori spacciati per italiani. La direttiva infastidiva gli importatori del Nord Europa, che hanno costruito le loro fortune sulla falsificazione sistematica dei prodotti comperati all’estero e rivenduti nel Vecchio continente a prezzi elevati. Un esempio per chiarire il concetto: acquisto uno zaino in Vietnam e lo pago, con consegna in Italia, 18 dollari. Lo metto successivamente in vendita ad 80 euro (occhio al cambio di valuta), con un ricarico del 471 per cento. Analoga procedura, evidentemente, vale per i prodotti enogastronomici. Dobbiamo essere consapevoli che la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari made in Italy costa al nostro Paese 300mila posti di lavoro che si potrebbero creare con una seria azione di contrasto a livello nazionale ed internazionale. Con il fatturato del falso made in Italy, che solo nell’agroalimentare ha superato i 60 miliardi di euro, la lotta alla contraffazione ed alla pirateria rappresentano per le Istituzioni un’area di intervento prioritaria per recuperare risorse economiche utili al Paese ed a generare occupazione. Le esportazioni agroalimentari potrebbero addirittura triplicare se tale fenomeno venisse debellato. Alla perdita di opportunità economiche ed occupazionali si somma il danno provocato all’immagine dei prodotti nostrani, soprattutto nei mercati emergenti, dove spesso il falso è più diffuso del vero e condiziona negativamente le aspettative dei consumatori. Ecco perché continueremo a batterci per l’etichettatura d’origine su tutti i prodotti, per la salvaguardia dell’economia e delle nostre imprese agricole.

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