21 Ottobre 2013
Grazie a Sergio Marini l’Agricoltura ha fatto crescere l’Italia

Al Forum internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio, il 18 e 19 ottobre, dopo quasi sette anni di Presidenza, Sergio Marini ha rimesso il mandato. “Una decisione importante – spiega Sergio Marini - e consequenziale alla volontà di costruire un nuovo progetto per il rilancio dell’Italia, quale naturale evoluzione dei traguardi raggiunti e della storia recente di Coldiretti”. Riportiamo di seguito stralci dell’intervento tenuto al Consiglio nazionale Coldiretti lo scorso 7 ottobre.
“Sono quasi sette anni che ricopro la carica di presidente di Coldiretti. L’ho fatto con passione e mettendo tutto me stesso, perché volevo restituire dignità ad una categoria vista troppo spesso come problema sociale, causa di disastri ambientali, peso a carico delle casse pubbliche. Categoria in passato posta ai margini della società e dell’economia, raccontata senza futuro, se non per poche grandi aziende che avrebbero dovuto competere con il mondo su prezzi ed economie di scala. Assurdo! Cosi ci dipingevano gli esperti, questo ci insegnavano nelle scuole e nelle università e questo in fondo pensava la gente. Ma non ci siamo rassegnati. Eravamo convinti che, nonostante “ gli analisti”, noi, ovvero quelli che producono cibo, un bene comune, non potevamo essere il problema, semmai, e la storia lo ha confermato, erano le teorie ad essere sballate, perché figlie di un modello socio-economico globale, sballato quanto loro. Oggi nessuno può negare che agricoltura, coltivatore diretto, cibo, filiera corta, multifunzionalità, km 0, biodiversità, sicurezza alimentare, vendita diretta, export agroalimentare, made in Italy, tipicità, innovazione, giovani, cultura, bellezza, paesaggio siano tutti termini positivi, sinonimi di futuro e la gente sa che queste parole hanno a che fare con le nostre azioni e con il nostro fare quotidiano. Se, solo in questo anno, le iscrizioni agli istituti ed alle facoltà di agraria sono aumentate come mai accaduto nella storia; se aumentano le giovani imprese agricole; se l’export agroalimentare aumenta più di ogni altro; se le imprese agricole italiane garantiscono il più alto valore aggiunto ad ettaro ed il nostro made in Italy è copiato in tutto il mondo; se la società, la gente, ci apprezza sempre più come esempio positivo e di verità; se la politica ci guarda (ma non ci vede!) come espressione di un nuovo modello di sviluppo, dove crescita ed occupazione, ma anche buone relazioni sociali, tutela ambientale e qualità della vita possono coesistere, crescere ed alimentarsi a vicenda; se le nostre bandiere, con orgoglio, sventolano ovunque e suscitano simpatia e rispetto; oggi se tutto questo accade, vuol dire che molte cose sono cambiate e che molto abbiamo contribuito a che ciò accadesse. È riapparsa almeno la speranza, la fiducia, la consapevolezza che nell’Italia di domani ci sarà tanta agricoltura. Hanno preso forma i grandi progetti valoriali con la nascita della Fondazione Campagna Amica e le sue articolazioni progettuali, i farmer market, le botteghe, i mercati degli agricoltori, è nata la filiera firmata dagli agricoltori italiani (Fai) e le sue articolazioni imprenditoriali, dal sistema Cai sino alla Filiera agricola italiana Spa. È nata Uecoop, Creditagri Italia, Impresa Pesca, si sono rafforzati i tradizionali eventi come Cernobbio e sono nati i grandi eventi dal Palalottomatica ad Oscar Green, dalle straordinarie assemblee dei giovani a Cibi d’Italia, alla Giornata del Creato. È cresciuta una straordinaria rete di imprenditori  donne, giovani e meno giovani di inestimabile valore, mossi da una carica etica e passione civile che rappresenta una garanzia assoluta per il futuro Coldiretti, per l’agricoltura e direi per l’intero Paese. Sono stati anni di battaglie per difendere in ogni sede, con coraggio e determinazione, i valori forti quali la trasparenza, la legalità, l’informazione al consumatore e questo nonostante il lavoro di interdizione di potenti lobby, l’ambiguità di certa politica, l’ostruzionismo Europeo. Sono stati anni in cui abbiamo recuperato un ruolo centrale nelle relazioni internazionali, come testimonia la recente approvazione della nuova Pac per i prossimi sette anni: per la prima volta le risorse potranno essere destinate ai soli agricoltori che vivono di quel mestiere, smontando finalmente un sistema di rendita che abbiamo subito per decenni. Tutto questo è ha rivoluzionato la nostra agricoltura ed il nostro modo di essere, ma in troppi casi il reddito delle imprese è stato ingeneroso rispetto agli sforzi fatti. La soluzione non potremo trovarla all’interno del nostri confini, non ci sarà politica agricola o fiscale che tenga, non potremo farcela se il Paese non riparte, se insieme all’agricoltura e sulla scia dei suoi successi, non proviamo a cambiare anche L’Italia. Da tempo ho l’impressione di stare su un vagone di un treno su cui si è fatto di tutto per rendere confortevole il viaggio, salvo accorgersi che il vagone è agganciato ad un convoglio fermo e senza motrice. Il vagone è la nostra agricoltura, il nostro agroalimentare, il nostro territorio; il treno è l’Italia tutta; la motrice è il caos. A rendere più parossistica la metafora è che i binari ci sono ed anche di ottima fattura. Sono binari di una lega particolare: la straordinaria ricchezza e voglia di fare degli Italiani, dei suoi giovani, la creatività, l’intelligenza e la fantasia, le tradizioni, la cultura, la storia, la bellezza di ogni angolo del nostro Paese. Binari solidissimi buoni per il domani, ma invisibili perché impietosamente seppelliti sotto i detriti prodotti dall’apatia, dalle non scelte, da una politica paralizzata. Ciascuno ha il dovere, morale e civile, di aiutare a dissotterrare quei binari, di fondere una nuova locomotiva, di far partire quel treno. Lo dobbiamo al Paese, lo dobbiamo a noi ed ai nostri figli, per riappropriarci della dignità e della speranza che abbiamo smarrito, per riconquistare quell’orgoglio di essere Italiani che ci appartiene e che la storia ed i nostri genitori ci hanno consegnato con tanti sacrifici. Insieme a tanta gente straordinaria, soci, collaboratori, dirigenti abbiamo contribuito a rivoluzionare non solo Coldiretti e la nostra agricoltura, ma a dimostrare che cambiare è possibile, migliorare l’Italia si può e, dunque, quel treno fermo, a cui siamo necessariamente legati, può ripartire. Quanto abbiamo fatto nella nostra agricoltura, può rappresentare un esempio da emulare per tutti ed ovunque. Certo, occorre sentirselo dentro; occorre avere coraggio, mettersi in gioco; occorre sentirsi liberi; occorre la forza di dire no ad ipocrisie e compromessi; occorre saper guardare avanti ed in alto; occorrono idee; occorrono testimonianze vere e la certezza di poter raccontare senza omissioni le proprie storie personali; occorre la compatibilità formale e sostanziale che giustamente la carica di Presidente non può dare; occorre poter spaziare oltre i confini di una forza sociale seppur cosi magnificamente contagiosa come Coldiretti; occorre poi tanta gente di buona volontà. Tanta gente. Gente che, se appena ti guardi attorno, t’accorgi che l’Italia ne è piena. Serve stare in quel laboratorio dove la locomotiva con destinazione “futuro” aspetta di essere ricostruita. Sento di poter dare un contributo alla ricostruzione di quella locomotiva ed alla messa in luce di quei binari. Voglio esserci, ed esserci in prima persona, e sono certo che molti di voi, al momento giusto, faranno lo stesso. Perché “l’Italia che vogliamo, l’Italia che fa l’Italia” merita un mare di bene e perché è ora di sciogliere dalle catene un possibile nuovo grande sogno Italiano.

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