15 Luglio 2010
Quindicimila coltivatori a Roma per salvare il made in Italy

Quindicimila coltivatori italiani provenienti dalle campagne di tutte le regioni e province in rappresentanza di 1,6 milioni di associati lo scorso 2 luglio hanno raggiunto il Palalottomatica a Roma per presenziare all’Assemblea nazionale della Coldiretti, che ha visto protagonista il presidente Sergio Marini, con una lucida e puntuale relazione sul tema: “La filiera agricola tutta italiana... vince il Paese vero”. Un centinaio i vicentini presenti all’immancabile evento, che ha saputo dare a tutti una rinnovata carica e convinzione, motivando anche chi sta vivendo difficili situazioni economiche in azienda ad andare avanti con convinzione, per difendere la propria produzione e continuare a produrre senza mettere da parte sicurezza e qualità per garantire ai cittadini consumatori dei prodotti d’eccellenza. Una megaconvention, dunque, per salvare il made in Italy a tavola dagli inganni e dalle speculazioni che danneggiano gli agricoltori ed i consumatori, alla quale sono intervenuti anche il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, il ministro delle Politiche agricole Giancarlo Galan, il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ed il presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani. Rilevanti ed apprezzati anche gli interventi del segretario generale della Cei mons. Mariano Crociata, del sindaco di Roma Gianni Alemanno, del presidente della Regione Veneto Luca Zaia, del presidente della Regione Lazio Renata Polverini e del presidente della Regione Basilicata Vito De Filippo. Un parre terre decisamente importante, adatto alla Coldiretti, che è oggi la più grande Organizzazione agricola europea e rappresenta circa il 70 per cento tra gli iscritti alle Camere di commercio tra le organizzazioni di rappresentanza, mentre le domande Pac presentate dal coordinamento Caa Coldiretti sono il 53 per cento (dato Agea 2009) e sviluppano circa il 55 per cento della superficie coltivata a premio Pac, nonché circa il 65 per cento dei capi allevati. A questi numeri importanti si aggiunge il fatto che la Coldiretti è la prima organizzazione agricola datoriale come numero di imprese che assumono manodopera e nel 2009 ha visto aumentare a 1.627.608 i propri associati ed  anche la sua rappresentatività in numero di aziende è cresciuta rispetto all’anno precedente, rafforzando il suo essere maggioranza assoluta nell’agricoltura italiana. L’Assemblea si è svolta in occasione dei festeggiamenti dei 150 anni dell’unità d’Italia, in coincidenza con la ricorrenza dei 100 anni dalla nascita della Coldiretti, avvenuta il 6 giugno 1910 a Romentino in provincia di Novara, ad opera di Paolo Bonomi, che ha avuto un ruolo determinante nel passaggio, in pochi anni, da un’economia di sussistenza alla conquista di primati mondiali e nel far diventare l’agroalimentare simbolo e traino del made in Italy. La partecipazione dei vicentini all’appuntamento romano è stata ingente, con l’arrivo nella Capitale di due pullman, ma soprattutto è stata forte la voce che hanno saputo levare contro la pirateria agroalimentare ed i tanti, troppi falsi che ogni giorno arrivano dall’estero sugli scaffali di vendita e finiscono sulle tavole dei consumatori, ignari della provenienza di ciò che acquistano per la mancanza dell’obbligo di etichettatura su tutti gli alimenti. Un danno importante all’economia dell’intero Paese. L’agroalimentare, infatti, è oggi un settore che rappresenta il 15 per cento del Pil nazionale, con un valore complessivo di 250miliardi di euro, un contributo dell’export che ha raggiunto circa 25miliardi di euro nel 2009, dove operano 900mila imprese agricole, che rappresentano il 17 per cento del totale delle imprese attive in Italia (agricoltura, industria, commercio e servizi). Nel suo intervento, che riportiamo a somme tracce di seguito, il presidente Sergio Marini ha saputo individuare le esigenze del mondo agricolo ed a richiamare i politici ad un  maggiore impegno e rispetto per chi lavora in agricoltura e cerca di fare del proprio meglio per offrire qualità e garantire sicurezza ai consumatori.
Il cibo non è una merce qualsiasi. Le difficoltà delle imprese agricole sono il frutto dello stesso arretramento dell’etica sociale nel mercato. La globalizzazione dei mercati, a cui non ha fatto seguito quella della politica, ha portato ad un deficit di responsabilità, di onestà e di trasparenza che ha generato la crisi internazionale ed ha drammaticamente legittimato la derubricazione del tema cibo fino a farlo considerare una merce qualsiasi, come fosse un aspirapolvere o un frigorifero. Gli effetti drammatici, legittimati sull’altare di un libero mercato senza regole, vanno dalle speculazioni sulle materie prime agricole al furto di milioni di ettari di terre fertili a danno dei Paesi più poveri, il cosiddetto land grabbing, fino alle grandi bugie sul potere salvifico degli organismi geneticamente modificati (Ogm), la cui diffusione sotto il pressing delle multinazionali è aumentata insieme al numero degli affamati.
Il furto d’identità e di immagine delle imprese italiane. La situazione di difficoltà dell’agricoltura italiana non dipende solo dalla crisi generale, ma dal fatto che stiamo vivendo i drammatici effetti di quelli che sono i due furti ai quali sono sottoposte giornalmente le nostre imprese: il furto di identità e di immagine, che vede sfacciatamente immesso in commercio il cibo proveniente da chissà quale parte del mondo come italiano; ed il furto di valore aggiunto che vede sottopagati i nostri prodotti agricoli senza alcun beneficio per i consumatori. L’esistenza di un caso Italia come dimostra il fatto che, nonostante i successi del nostro agroalimentare, secondo l'Eurostat dal 2000 al 2009 i redditi agricoli reali nel nostro paese sono diminuiti del 36 per cento contro una crescita del 5,3 per cento nell'Unione europea. Solo tra il 2008 e il 2009, Eurostat indica la contrazione in Italia pari al 21 per cento rispetto ad una contrazione media dei redditi agricoli dell'11,6 per cento nell'Unione europea.
Competitività e diversità sono le armi che abbiamo per difenderci. L’unica leva competitiva possibile per il made in Italy agroalimentare è quella di essere diversi perché migliori. La nostra diversità dipende dalla capacita di legarsi con il più grande ed inimitabile patrimonio che il mondo ci riconosce, i nostri territori, le nostre identità, il nostro straordinario paesaggio fatto di ambiente storia e cultura, il nostro cibo ed i suoi primati in termini di  sicurezza ambientale, sociale e sanitaria. Il futuro della nostra agricoltura sarà nell’essere diversi e migliori e non omologati a quei sistemi produttivi che operano con strutture di costi per noi irraggiungibili. Il problema è non farsi copiare le nostre eccellenze e non replicare modelli che il mercato ha già abbondantemente bocciato, come nel caso degli Ogm. Sarebbe bene che anche gli altri settori dell’economia trovassero ancoraggi forti per farsi riconoscere quella diversità in mancanza della quale siamo destinati a competere sui costi, con il rischio della delocalizzazione e di nuova povertà sociale. La Coldiretti ha scelto una strategia fondata su altri tre capisaldi con valenza economica e sociale:
- trasformare le nostre materie prime agricole in cibo per aumentare il potere contrattuale nella filiera e sfuggire alla morsa delle speculazioni sulle materie prime;
- costruire un modello di rappresentanza di filiera che coinvolge cooperative e consorzi agrari perche il nostro cibo deve arrivare sino agli scaffali;
- il nostro è un progetto intriso di etica sociale, cibo come diritto, responsabilità del fare, trasparenza della filiera, interesse e aspettative della gente come priorità. Un progetto che ridà dignità al settore che deve essere pesato ben oltre e più di quanto tendono a dire i parametri economici. Questo approccio fa cambiare pelle alla Coldiretti, che è diventata una forza sociale a tutto tondo, che parte dagli interessi dei consumatori e diviene soggetto politico ed interlocutore credibile delle istituzioni, sulla base di un progetto di crescita per l’intero paese.
La politica scelga tra serietà e furbizia. Alla politica chiediamo di scegliere tra chi investe, si impegna e innova e chi fa il furbo e vive di rendita. Non si può concedere, come purtroppo è successo, il titolo di cavaliere a chi è cresciuto sfruttando all’estero l’immagine del made in Italy costruita con il lavoro nei campi italiani di centinaia di migliaia di imprenditori agricoli, ai quali non è stato concesso alcun riconoscimento. La politica non deve essere né notaio né mediatore, ma deve assumersi la responsabilità di decidere:
- tra le lobby e i cittadini, come nel caso degli Ogm e dell’obbligo di indicare in etichetta la provenienza degli alimenti, dove è molto chiara la volontà popolare;
- tra imprese e rendita, sia nella destinazione delle risorse, come quelle della Politica Agricola Comune (Pac) e dei Piani di sviluppo rurale (Psr), sia nel sostegno ai progetti, distinguendo quelli che portano lavoro e sviluppo al territorio da quelli dietro i cui grandi numeri si nasconde la volontà di delocalizzare;
- tra le cose dichiarate e le cose fatte. Abbiamo apprezzato il percorso di semplificazione avviato nel mercato del lavoro con i voucher, ma si può fare di più ed occorre proseguire nella sburocratizzazione valorizzando la sussidiarietà;
- tra il vero ed il falso, rendendo subito noti i dati secretati sulla destinazione delle importazioni agroalimentari da paesi extracomunitari. Vanno premiate l’onesta e la trasparenza, pertanto politica e pubblica amministrazione devono dare il buon esempio. Ci sono ancora troppe anomalie che il Paese non merita.
Il conflitto Stato/Regioni non danneggi le imprese. Occorre fare attenzione che il conflitto in atto tra governo e Regioni non danneggi le imprese impegnate in settori come l’agricoltura, le cui competenze sono state da tempo completamente trasferite a livello regionale. In particolare, con riferimento alla minaccia delle Regioni di restituire le deleghe sull’agricoltura a seguito del taglio di risorse proposto nella manovra. Sono pari a circa 250milioni di euro i trasferimenti per l’agricoltura alle Regioni a statuto ordinario.
L’impegno di Coldiretti. Da parte nostra ci impegniamo a rimboccarci le maniche come dimostrano i passi da gigante che abbiamo fatto in un anno nel nostro progetto operativo per una “Filiera agricola tutta italiana” che ha come obiettivo di sostenere il reddito degli agricoltori eliminando le distorsioni e tagliando le intermediazioni con l'offerta attraverso la rete di consorzi agrari, cooperative, farmer’s market, agriturismi ed imprese agricole di prodotti alimentari al cento per cento italiani firmati dagli agricoltori al giusto prezzo. Le prime dieci cose fatte nell’ambito del progetto vanno dal via al più grande circuito europeo di farmer’s market alla nascita, con Consorzi Agrari d’Italia (Cai), della prima e più importante holding italiana degli agricoltori, dalla commercializzazione della prima pasta dei coltivatori italiani all’avvio della prima e più grande società di trading europea dei cereali di proprietà degli agricoltori, dalla sottoscrizione del più grande contratto europeo di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili da biomasse tutte italiane all’accreditamento di circa mille nuovi punti vendita diretta di Campagna Amica al mese.

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