25 Luglio 2012
Torniamo a fare l’Italia che vogliamo

Grande emozione, una carica di positività tangibile e tanto, tanto entusiasmo che abbiamo riportato a casa per continuare a combattere le nostre battaglie per la difesa dell’agricoltura e del territorio. Questo, in estrema sintesi, ciò che abbiamo provato lo scorso 5 luglio in occasione dell’assemblea nazionale Coldiretti al Palalottomatica. Dalla necessità di completare l’iter per l’etichettatura obbligatoria degli alimenti alla semplificazione degli adempimenti burocratici in agricoltura, passando per la Pac e la tutela del made in Italy a tutti i livelli, aprendo anche uno spiraglio a nuove alleanze, tra cui quella, recentissima, con Coop Italia. Ancora una volta il presidente nazionale Sergio Marini ha saputo sorprenderci con la sua semplicità e con la capacità di arrivare diritto agli argomenti più delicati, non mancando di bacchettare politici ed istituzioni per richiamarli alle proprie responsabilità. Il presidente Marini ci ha fatto capire, insomma, che ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità e ciascuno di noi deve vigilare affinché ciò avvenga e farsi parte diligente per garantire la correttezza del sistema Paese che spesso critichiamo, ma di cui dobbiamo anche essere orgogliosi di far parte. È la nostra Italia, in effetti, che ci permette di avere degli straordinari prodotti apprezzati in tutto il mondo. Il nostro Paese, tuttavia, è anche pieno di contraddizioni. A chiusura dell’assemblea nazionale il presidente Marini ha dettato tre punti fermi improcrastinabili: sbloccare la legge sull’etichetta d’origine di tutti gli alimenti; attuare la semplificazione per alleggerire un carico burocratico che fa perdere cento giorni di lavoro alle imprese agricole e concretizzare l’internazionalizzazione per aprire nuovi mercati. Una forte bacchettata è arrivata pure all’Europa che, cercando la via del compromesso, ha deciso di metterci altri tre anni per risolvere la questione etichettatura obbligatoria degli alimenti, quando in pochi giorni si potrebbe risolvere tutto arrivando ad una norma semplice, snella e dalla chiara applicazione. I prodotti agricoli, come emerso in assemblea alla presenza di oltre 15 mila soci Coldiretti, non sono soltanto cibo, ma veri e propri beni etici durevoli in termini sociali ed ambientali, che non si misurano con il Pil, ma dai quali dipende gran parte della qualità della vita di ciascuno di noi. La spending review, poi, non dovrebbe rappresentare soltanto una mera revisione della spesa, a tutti i livelli, ma un’attenta analisi di tutte le procedure e degli adempimenti burocratici, al fine di alleggerire il peso che grava su aziende e cittadini, costretti ogni giorno a perdere ore preziose di vita e di lavoro per lungaggini ed incombenze spesso ripetute da più enti e senza un’effettiva utilità sul versante dei controlli e della correttezza del mercato. Sono ben 100 i giorni che ogni anno un’impresa agricola sottrae al proprio lavoro per rispondere alle richieste più svariate della burocrazia. Non vanno certo eliminati quegli adempimenti che garantiscono la sicurezza alimentare ed ambientale, che qualificano il nostro made in Italy, come ha efficacemente sottolineato il presidente Marini in assemblea nazionale, ma non c’è dubbio che troppo spesso la burocrazia inventa pratiche per giustificare la sua stessa esistenza. Basterebbe ridimensionare questa micidiale spinta creativa per recuperare qualche punto di Pil. Dobbiamo riappropriarci, poi, di quei mercati che apprezzano i nostri prodotti, ma ricorrono ai falsi made in Italy, probabilmente per effetto di una maggiore capacità di promozione e di penetrazione nei mercati internazionali. Non possiamo accettare che il 200-300 per cento del mercato potenzialmente assorbibile al mondo lo lasciamo occupare dai falsi. Non servono vie di sviluppo lontane dalla nostra storia. Come ha concluso all’assemblea nazionale il presidente Marini: “torniamo a fare quello che sappiamo fare bene: grande cibo, grande territorio, grande innovazione, grande creatività. Torniamo a fare l’Italia. È questa l’Italia che vogliamo, quella che faticosamente stiamo costruendo”.

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